Abbiamo seguito con preoccupazione l’evolversi della crisi finanziaria e le notizie che di ora in ora hanno segnato, nonostante l’appello del Capo dello Stato, la perdita di credibilità internazionale del nostro paese.
Un impasse politico, di un governo e di una maggioranza che ha continuato a cercare la quadratura del cerchio sulle coperture finanziarie con misure che un giorno si e l’altro pure subivano modifiche, che non ha saputo governare in questi anni le trasformazioni economico sociali in atto; che non ha voluto recepire le nostre proposte per tempo e tradurle in misure utili al risanamento.
Avevamo immaginato nuovi modelli di governance capaci di dare una dimensione etica allo sviluppo, in grado di mettere in campo proposte concrete e coraggiose per rilanciare la nostra economia; misure tanto più urgenti in considerazione di uno scenario internazionale in continua evoluzione, in cui vi è necessità di interventi strutturali che puntino alla crescita e possano metterci al riparo da possibili rischi sistemici e continue speculazioni finanziarie.
Dobbiamo prendere atto invece che il concetto di democrazia economica che avrebbe dovuto svilupparsi con la strategia di Lisbona - ora Europa 2020 - è un valore che non appartiene a questo paese e a taluni rappresentanti le istituzioni europee; più in generale dobbiamo prendere atto di un sistema che non è riuscito a darsi né la costituzione degli stati uniti d’Europa, né la globalizzazione delle tutele; alle prese con una schizofrenica verifica dei saldi contabili a cui mancano all’appello invariabilmente 5 o 6 miliardi un giorno si e l’altro pure, con un deficit di bilancio più alto nel mondo e 130 miliardi di titoli in scadenza a fine anno.
Siamo fermi a mere dichiarazioni di principio poste all’attenzione dei mercati, su ipotesi di riforma costituzionali, tra cui l’art. 81 sul pareggio di bilancio: ma siamo certi poi che il pareggio di bilancio offra una reale soluzione in futuro da una congiuntura avvitata in depressione? Autorevoli interventi in tal senso ritengono vi siano fasi economiche nelle quali una spinta anche in disavanzo degli investimenti pubblici e privati può rappresentare una via d’uscita.
Più in generale, prima di parlare di pareggio di bilancio e spendere tutta l’estate sui vari quotidiani economici in dissertazioni generiche e di principio sulla ‘close to balance’ e vari spot da campagna elettorale, avremmo avuto bisogno di una classe dirigente e di un governo capace di tradurre nei fatti la reale volontà di crescita e interesse per le sorti del nostro paese, con interventi di rottura dei privilegi di caste e corporazioni varie, capaci di operare scelte coraggiose per il rilancio delle infrastrutture, la ricerca, la creazione di nuovi posti di lavoro.
Come pensiamo che la banca centrale europea, la cui istituzione certamente è stata una scelta coraggiosa come l’euro, non possa sostituirsi ai Governi, i quali sono chiamati a intervenire sul costo del lavoro e su riforme strutturali che possano scongiurare la possibilità di soffocare la produttività.
Italia in testa.
Si è preferito invece fare cassa con operazioni che di fatto peggioreranno la vita di milioni di italiani e delle loro famiglie costretti sempre più a mettere mano ai loro risparmi, con l’aggravante del mancato inasprimento delle misure volte a combattere l’evasione ed elusione fiscale; misure che se da un lato non possono prescindere da un equilibrato rapporto tra fisco e contribuente nonché certezza del diritto, dall’altro non possono essere condotte se non attraverso un sostegno fattivo in tema di politiche del personale che la pubblica amministrazione dovrebbe garantire. Sul punto è appena il caso di evidenziare che la mancanza di risorse e la sottrazione di competenze non solo territoriali (vedi Equitalia), o la famosa circolare Befera che di fatto ha dato l’avvio alla c.d. ‘controriforma’ delle ganasce fiscali, certamente non inaspriscono o rendono maggiormente efficace la lotta all’evasione ed elusione fiscale.
Andrebbe potenziato il numero di personale addetto e creata un’ulteriore agenzia fiscale oltre le quattro operanti sul territorio nazionale e di cui peraltro quest’anno ricorre il decennale della nascita (istituzione questa si innovativa nel panorama della pubblica amministrazione!), da affiancare a quelle del demanio, territorio, agenzie delle entrate e dogane: quella per l’accertamento.
Come opportuno e necessario sarebbe potenziare oltre il personale e i mezzi delle Agenzie Fiscali, gli accordi utili a far decollare i sistemi di gestione documentale telematica alle agenzie delle entrate.
In lombardia, oltre alla carenza di organico pari al 30% di quelle previste, il c.d. progetto ‘zero carta’ non è ancora decollato per mancanza di accordi con gli ordini professionali e i grandi utenti; come non ci sono mezzi di trasporto da utilizzare per il personale in verifica, tanto che il dipendente deve recarsi sul posto con la propria auto previa autorizzazione, oppure con i mezzi pubblici.
E’ opportuno sapere che alle dogane molte verifiche sono orientate all’accertamento qualitativo dei prodotti, per cui i funzionari sono costretti a recarsi con una discreta attrezzatura: lattine per prelievo di campioni 5 per campione,solitamente in metallo di un litro ciascuno; strumenti di misurazione, involucri per sigillare i campioni, computer,scarpe antinfortunistica, timbri.
Ciò detto, qualcuno dovrebbe spiegare con un mezzo pubblico come tutto ciò possa essere possibile, compreso l’obbligo di dichiarare – dovendo utilizzare gioco forza l’auto propria – che l’uso della stessa è più conveniente, tutto per una indennità di missione oraria pari a 0,86 centesimi l’ora.
C’è di che riflettere.
Come bisognerebbe riflettere sul rischio ingorgo nei tribunali del fisco, quando a ottobre entrerà in vigore la norma sugli accertamenti che prevede l’esecutività degli atti emessi dall’agenzia delle entrate, che di fatto aumenterà le istanze di sospensione in commissioni tributarie già costrette in lombardia ad operare sottorganico con un personale amministrativo di 45 unità a fronte delle 65 in pianta organica, e 133 giudici tributari sui 168 previsti.
Istanze di sospensione che, dal 2008 al 2010, sono incrementate del 79,8%.
Come non rendono maggiormente efficace la lotta all’evasione le misure previste in manovra, che anziché prevedere risorse potenziate per i controlli, tracciabilità per le operazioni sopra i 1.000 euro, incrocio tra le varie banche dati dell’amministrazione finanziaria,enti locali e servizi pubblici, si riduce alla pubblicazione sul web delle dichiarazioni dei redditi e a misure restrittive per chi evade oltre i tre milioni di euro: tradotto state pure tranquilli, perché sono lo 0.001% quelli che ne dichiarano 500.000 e solo 796 quelli che dichiarano un reddito oltre 1 milione . . .
Per non parlare del condono tombale, proposta che qualche virtuoso del parlamento ancora azzarda come ipotesi: per quello del 2002 lo Stato deve ancora recuperare 4 miliardi di euro!
Abbiamo condotto una battaglia sulla riduzione dei costi della cattiva spesa pubblica e abbiamo ottenuto come risposta parziali proposte di modifiche per un iter costituzionale e dunque di attuazione certamente non immediata;una manovra depressiva e iniqua che rappresenta un inaudito accanimento punitivo o ‘odio di classe’ nei confronti dei lavoratori del pubblico impiego.
Così oggi lo chiamano contributo di solidarietà quello imposto ai dipendenti pubblici, dopo averci sottratto la contrattazione, imposto il blocco delle retribuzioni, del turn over, depotenziato la contrattazione integrativa, ridotto gli organici, averci escluso dall’applicazione dell’imposta sostitutiva del 10% sul salario accessorio e l’estensione dei benefici previdenziali per le attività usuranti.
Lo chiamano contributo di solidarietà l’ ulteriore taglio delle dotazioni organiche, la posticipazione del TFR, la riorganizzazione degli uffici giudiziari, la violazione dei principi di uguaglianza e progressività del sistema fiscale.
Noi tutto questo preferiamo chiamarlo azzardo morale, aver condotto il paese a un punto di non ritorno, aver messo le mani nelle tasche di lavoratori dipendenti e pensionati che oltre il danno sconteranno la beffa di pagare a caro prezzo in Comuni e Regioni virtuosi i servizi di prima necessità, oltre le aumentate imposte locali.
Azzardo morale, aver innalzato l’idea che i guadagni sono privati, le perdite socializzabili, i privilegi intoccabili.
Non aver sostenuto, salvaguardato e difeso in questi anni di Governo oltre il lavoro, il nostro ruolo di garanzia e tutela dello stato sociale.
Azzardo morale, aver innalzato l’età pensionabile delle donne nel pubblico impiego a 65 anni e stabilito che i risparmi così ottenuti sarebbero stati destinati ad interventi dedicati a politiche sociali e familiari con particolare attenzione alla non autosufficienza e all’esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici, per poi impiegare 4 miliardi di risparmi così ottenuti a diminuire il deficit pubblico.
Vergogna! non solo perché si passa e si è passati sulla vita di milioni di donne pensando sempre che le priorità siano altre, ma perche in questo stolto paese abbiamo una occupazione femminile ferma al 46%, che diversamente incentivata potrebbe contribuire alla crescita del prodotto interno lordo pari al 22% e questo attraverso politiche di sostegno, una migliore conciliazione di vita-lavoro, detrazioni fiscali alle donne che delegano il lavoro di cura.
Come Pubblica Amministrazione, nessun correttivo è stato apportato alle pesanti misure adottate, se non il ritiro delle norme in materia previdenziale e l’assurda ipotesi sul differimento delle tredicesime.
Come nessuna risposta abbiamo avuto di seguito all’emanazione del correttivo di luglio sulla 150/2009 - la Brunetta per intenderci – che di fatto non ha né corretto né recepito alcuna delle nostre proposte di modifica: quella di restituire alla contrattazione le materie necessarie per garantire una rappresentanza sostanziale, di effettiva tutela per i lavoratori che rappresentiamo.
Come non è stato risolto il problema di quale ruolo avranno le RSU che andremo a eleggere nel marzo 2012; come non è stato risolto il problema delle tre fasce e il potenziale conflitto organizzativo che questo può innescare all’interno degli uffici e come reperire i fondi utili a far decollare il prossimo CCNL.
Bene ha fatto la UIL a delineare un percorso di mobilitazione, maggiormente se avessimo pubblicizzato l’invito esteso alla CGIL di unirsi a noi in queste azioni anticipandola rispetto la proclamazione dello sciopero generale: di fronte un passaggio così delicato per le istituzioni democratiche e proprio perché la politica – l’espressione di questa politica - non è in grado di esprimere con rigore la necessaria salvaguardia dello stato sociale, avremmo dovuto adoperarci per un segnale di risposta forte al disorientamento della nostra base, più in generale dei cittadini di questo nostro paese, che tra fughe in avanti della CGIL e dichiarazioni a mezzo stampa tra le più disparate, non trovano più il bandolo della matassa.
Abbiamo indicato nella modernizzazione della PA e nel recupero e potenziamento della contrattazione, l’unica via possibile di crescita e sviluppo, tanto più necessaria per la ‘debolezza’ della politica nell’indicare possibili vie d’uscita dalla crisi economica.
Una crescita e sviluppo – è bene ricordarlo – cui tre milioni e mezzo di lavoratori e le loro famiglie non potranno concorrere in termini di rilancio dell’economia reale del nostro paese, per il blocco delle retribuzioni fino al 2015.
Per questo è necessario riprendere la strada della contrattazione e ripartire dal documento comune del 2008; per questo sarebbe auspicabile realizzare un contratto di lavoro comune nel mondo del lavoro.
Come territorio, alle proposte avanzate dalla confederazione abbiamo segnalato alla categoria la possibilità di intervenire sul costo del lavoro e sul possibile ricupero di fondi utili al rinnovo dei CCNL per esempio attraverso i crediti di Giustizia, tema quanto mai attuale per l’emendamento proposto in manovra, proprio a danno di questo nostro settore: in tema di riforma della giustizia civile, richiamata nella relazione della Segreteria quale introduzione a questo seminario, è opportuno sapere che con l’emendamento proposto in manovra si vogliono di fatto tagliare o accorpare 681 uffici del giudice di pace su 846, eliminare 220 sezioni distaccate di Tribunale, accorpare 58 Procure della Repubblica , prevedere addirittura che l’ufficio di Procura accorpante possa svolgere le funzioni requirenti in più Tribunali.
Un vero e proprio caos rispetto alle competenze territoriali previste dai Codici e dalle Leggi, con buona pace dei lavoratori dipendenti, magistrati,avvocati e di chi invoca una giustizia veloce, efficiente, più vicina ai cittadini.
Per tornare alla proposta:
° Giungere ad una flessione del costo del lavoro con riduzione dei contributi previdenziali INPS/INPDAP e premi assicurativi INAIL, finanziato attraverso i risparmi realizzati per effetto di riforme quali l’abolizione delle province e/o delle comunità montane o delle riorganizzazioni di Amministrazioni ed Enti e utilizzare una quota non inferiore al 20-30% delle risorse risparmiate per abbassare le ritenute previdenziali.
L’effetto sarebbe duplice : da un lato incrementare le retribuzioni di tutti i lavori subordinati, dall’altro rendere le imprese italiane maggiormente concorrenziali verso l’estero e incentivare così investimenti e assunzioni.
In sostanza si tratterebbe di estendere il contenuto dell’accordo del 4 febbraio 2011 stipulato da Governo, UIL e CISL sul pubblico impiego, affermando il principio che i risparmi di gestione devono essere destinati alla contrattazione ma anche a rivitalizzare il nostro sistema economico. Si affermerebbe così il diritto a far partecipare lavoratori ed imprenditori alla distribuzione dei dividendi dettati dalla maggior efficienza pubblica.
° Portare in esecuzione le sanzioni derivanti dalle sentenze definitive, sia penali che civili, emanate dai Tribunali e dalle Corti d’Appello d’Italia.
Attualmente gli Uffici Giudiziari procedono a rilento nel mettere in esecuzione le necessarie attività preparatorie delle esazioni –devolute per legge ad Equitalia Giustizia S.p.A. - determinando uno spaventoso arretrato che si traduce non solo in mancati rientri all’erario di costi sostenuti in via anticipata e delle sanzioni penali comminate ai condannati, quanto nello smisurato stazionamento di masse cartacee (fascicoli penali e civili) in archiviazioni provvisorie (locali delle cancellerie, ovvero di risulta per lo stazionamento), poiché le suddette procedure rimangono “pendenti”, cioè aperte.
Quanto questa situazione strida con le tante parole che da più parte vengono spese a fronte dei deficit del bilancio dello Stato, delle conseguenti proposte di risparmio (tagli di risorse finanziarie insufficientemente mirati verso gli sprechi, riduzione di personale, blocchi di rinnovi contrattuali) senza rilevare che esistono titoli esecutivi ineseguiti per miliardi di euro (su scala nazionale), è cosa che merita attenzione e denuncia.
Presso la Corte d’Appello di Milano è tutt’ora in corso il recupero delle spese di giustizia e pene pecuniarie di circa 25.000 sentenze penali, per 15.000.000,00 di euro che in sei mesi di lavoro di attività organizzativa straordinaria il personale è riuscito a far emettere ad Equitalia Giustizia S.p.A.
L’esempio della Corte d’Appello di Milano può ben lasciare intuire e ipotizzare come , pressoché in tutta Italia o quanto meno nei grossi centri (Roma, Napoli, Palermo, Torino, etc.), la situazione possa risultare analoga.
Riteniamo che quando si menzionano le statistiche giudiziarie e si evidenziano le situazioni di collasso della giustizia, si dovrebbero poi quantificare i danni derivanti dal mancato recupero dei costi e delle sanzioni pur in presenza degli strumenti giuridici ed organizzativi per agire.
Si dà per scontato che ciò avvenga, mentre non sembra trovarsi riscontro apprezzabile nella realtà di uno sforzo corale da parte dell’Amministrazione Giudiziaria su questo fronte.
E se la prospettiva si applicasse su scala nazionale, allora la questione non può che essere posta in relazione ai grossi numeri del bilancio dello Stato che attraverso la gestione del Fondo Unico Giustizia (nel quale dovrebbero affluire i suddetti proventi), tanto condiziona la funzionalità non solo dell’Amministrazione della Giustizia, quanto coinvolge le funzioni di pubblica sicurezza e di ammortamento del debito pubblico.
Sulla scorta dell’esperienza paradigmatica emersa pressola Corted’Appello di Milano, riteniamo che la proposta possa essere immediatamente operativa e capace di incidere positivamente non solo sull’efficacia delle sanzioni, quanto sulle possibilità di rientro di denaro fresco nelle casse dello Stato, sui capitoli di bilancio del Ministero della Giustizia.
Tutto questo, restituendo alla contrattazione le materie strumentali e necessarie,riaffermando ed estendendo la contrattazione decentrata per una pubblica amministrazione che sia vicina ai bisogni dei cittadini e ai lavoratori, che incentivi la produttività e valorizzi oltre il merito, formazione e impegno.
Per queste ragioni, a una manovra che non rappresenta nelle scelte operate rigore, equità, giustizia, riteniamo oltremodo odiosi e inaccettabili i trattamenti discriminatori operati a danno dei pubblici dipendenti.
Come riteniamo che l’art.8 avrebbe dovuto, eventualmente, seguire la via degli accordi tra le parti sociali, non quella di un intervento in manovra.
In attesa che venga ‘sciolta la riserva’ sulla data dello sciopero nel pubblico impiego,la cui proclamazione riteniamo non più rinviabile, invitiamo nuovamente la confederazione lombarda - sfumato il previsto presidio davanti la Prefettura del 2 settembre u.s. – a voler organizzare entro la prossima settimana una manifestazione di protesta contro questa manovra economico finanziaria.
Chiudo questo mio intervento, sottolineando una volta e di più che abbiamo abbracciato e sostenuto con forza le tesi dei sindacati europei quando qui – nel nostro paese – non una parola si era spesa a sostegno del nostro ruolo di garanzia e salvaguardia dello stato sociale; un silenzio che ci ha colpiti profondamente, convinti come siamo che i principi della nostra carta costituzionale debbano trovare ancora compiuta attuazione e che più che l’indebitamento, questo paese debba temere l’impoverimento culturale.
Eloisa Dacquino
Coordinatore Responsabile UILPA Milano