Finché il ministro Brunetta poteva dispensare solo consigli strampalati, i dipendenti pubblici hanno
potuto risalire faticosamente la china del “fannullone a prescindere”; ora che può dare il cattivo
esempio, rischia di far precipitare nuovamente nel baratro l’apparato pubblico.
Nell’intervista rilasciata qualche giorno fa, il neoministro ha paventato il rientro urgente di tutti i
dipendenti pubblici in servizio in presenza confidando in un aumento della produttività e, di
riflesso, del PIL nazionale a prescindere dallo stato di emergenza prorogato fino al 31 dicembre.
Tralasciando il fatto che la considerazione di natura generale sull’opportunità dello smart working
nei sistemi di produzione moderni è suffragata dalle evidenze empiriche e da tutti gli ambienti
scientifici, anche la stampa non proprio a favore dei dipendenti pubblici titola così: “I dati raccolti dal
Politecnico di Milano indicano incrementi di produttività associati all'adozione di tale modello
nell'ordine del 10%, a cui si associano minori costi per gli immobili tra il 30 e il 50%, per non parlare
della riduzione della pressione antropica sui centri delle grandi città e la liberazione del tempo dalla
schiavitù del pendolarismo” (Il Sole 24 Ore, 5 settembre 21, V. Pelligra).
Le considerazioni di natura politica ed elettorale del neoministro e della sua corrente politica non ci
appassionano ma il fatto che Brunetta abbia citato l’INPS tra gli esempi di enti pubblici non
produttivi ci indigna.
È dato noto ai più per le numerose audizioni parlamentari e le interviste al nostro Presidente, che se
il Paese ha resistito al lockdown ed alla pandemia rispondendo ad un carico di lavoro quintuplo
esercitato in smart working forzato è proprio grazie all’Istituto, allo spirito di abnegazione dei suoi
dipendenti ed alla tecnologia che, ben prima dei timidi tentativi di smart working sperimentale,
aveva abilitato i lavoratori.
Se lo smart working ha impoverito le buste paga dei lavoratori ed aumentato la loro produttività e
lo stress, la dignità di chi, ogni giorno, fa il suo massimo per rendere al nostro Paese un sistema di
welfare migliore, non può essere calpestata da un ministro che ha fatto della denigrazione del
dipendente pubblico il suo cavallo di battaglia. Un po’ come se, volendo abbassarci al suo livello,
dicessimo che se piove il Governo è ladro.
L’Istituto che ha i dati della produttività faccia sentire la sua voce contro un attacco a tutto tondo ai
dipendenti, ai manager ed agli Organi.
A meno che non si pensi che lo smart working sia un premio da dare a chi non debba, stavolta sì,
godere di qualche giorno di ferie in più e che ci sia qualcuno che, “tenendo famiglia”, voglia
assecondare tesi strampalate e fuori tempo sulle spalle dei lavoratori.
IL COORDINATORE GENERALE
UILPA-INPS
Sergio Cervo