“… Infine la democrazia.
Perché questo tempo di guerra è in pericolo.
La stagione verso la quale stiamo andando infatti è quella di una stretta istituzionale emergenziale,
confermata dal conflitto in corso, che porti all’infinito l’impianto draghiano: parlamento inutile e governabilità
ad ogni costo per la stabilità e, naturalmente, la «crescita».Chi la fa, per che cosa e per quale occupazione?
Quando è ormai evidente il contrario: solo la democrazia conflittuale fondata sui valori della costituzione
può salvarci dal disastro.
Vale a dire a partire dai diritti delle lavoratrici dei lavoratori.
Mentre la crisi della rappresentanza politica mette in discussione e attacca anche il ruolo del sindacato,
l’unico che affronti la questione sociale ormai esplosiva.
Una democrazia del controllo, a partire dal processo produttivo qui e ora, dei suoi fini,
a cominciare dai luoghi di produzione materiale e immateriale. E dal basso per un nuovo modello di sviluppo,
che individui subito le reali alternative energetiche e i risparmi, e le pratichi rifiutando i passi indietro
(del nucleare, del carbone), per una transizione ecologica vera che scelga la filiera della pace e non quella delle armi,
perché il disarmo non è una chiacchiera degli «sconsiderati» pacifisti, ma concreta possibilità di nuovo, riconvertito, lavoro.
E che assuma il principio dello scambio eguale e solidale tra i popoli e non quello attuale della rapina e dello sperpero.
La pace ora è la prima vertenza sindacale, il primo contratto da strappare.”
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